Data / Ora
23/07/2019 - 21:30
Luogo
Urbino - Salone del Collegio Raffaello
Matteo da Perugia
Gloria/Tenor: Agnus Dei qui tollis FG 16 (ModA, 4v-5)
Credo FG 25 (ModA, 8v-10)
Anonimo
Ave Maris Stella (Codex Faenza117, 96v-97r)
diminuzione strumentale
Matteo da Perugia
Gloria FG 11 (ModA 2v-3 )
Canto Ambrosiano
Proba me domine
Matteo da Perugia
Laurea martirii/Conlaudanda est/Tenor: Proba me Domine (ModA, 5v-6)
Andray Soulet (ModA, 40v) canone strumentale
Anonimo
Alleluya (Gua1, 194v)
Matteo da Perugia
Ave Sancta Mundi Salus/Agnus Dei qui tollis (ModA av-1)
Anonimo
Kyrie Cunctipotens Genitor Deus (Codex Faenza 117, 2r-3r)
diminuzione strumentale
Matteo da Perugia
Gloria ‘Spiritus et alme’ FG 17 (ModA 3v-4)
Anonimo
Lucis Eterne Splendor/Veni Splendor Mirabilis
Benedicamus Domino (Codex Faenza 117, 97r-v)
diminuzione strumentale
Matteo da Perugia
Gloria FG 13 (ModA 23v-24)
Credo FG 24 (ModA 6v-7v)
Francesca Cassinari, Alena Dantcheva soprani
Gianluca Ferrarini, Massimo Altieri tenori
Efix Puleo viella da braccio
Teodoro Baù viella da gamba
Federica Bianchi organo e clavicymbalum
Michele Pasotti liuto e direzione
La Fonte Musica è ensemble associato al Centro di Musica Antica della Fondazione Ghislieri
Matteo da Perugia è un grandissimo protagonista della musica del giro di secolo tra Tre e Quattrocento. La sua importanza viene percepita sempre più chiaramente negli studi musicologici, soprattutto per la bellezza e raffinatezza indiscutibili della sua musica.
Matteo è stato inoltre il primo maestro di Cappella del Duomo di Milano. Eletto nel 1402 con tutta probabilità grazie all’appoggio dell’Arcivescovo di Milano Pietro Filargo, potentissimo ecclesiastico ma anche fine umanista di origine cretese che diventerà papa Alessandro V. Il legame tra i due è fortunatamente testimoniato da una nota che si trova nei libri di pagamento della Fabbrica del Duomo. Nel 1406 i consiglieri della Fabbrica scrivono: “corrisponderemo a Matteo da Perugia in ogni caso la somma di 6 fiorini nonostante il tempo che debba trascorrere a Pavia con l’arcivescovo…” Le testimonianze di un legame così diretto e pubblico, fuori dal proprio incarico ufficiale, sono rarissime in questo periodo.
Dunque Matteo frequentava Filargo a Pavia, e con tutta probabilità anche il circolo di uomini di lettere che si radunava intorno alla famosa biblioteca del Castello Visconteo, allora ricca di circa mille codici preziosissimi. La biblioteca viscontea al tempo della frequentazione di Filargo e Matteo è uno dei rarissimi luoghi dove alcuni testi greci e latini fondamentali possono essere letti. Vi sono tra l’altro anche molti testi appartenuti a francesco Petrarca, il “primo” tra gli umanisti. L’umanesimo è in primo luogo una questione di libri, di testi, di traduzioni, di antichi trattati finalmente tornati disponibili. Matteo ha certamente respirato quest’aria grazie alla frequentazione dell’umanista Filargo e del suo circolo.
Il programma di questa sera esplora pressoché tutta la sua produzione sacra che è giunta fino a noi. Le composizioni sacre di Matteo sono con pochissima probabilità destinate a un’esecuzione in una cattedrale delle dimensioni, caratteristiche acustiche e liturgiche del Duomo. Invece sono molto probabilmente pensate ed eseguite per cappelle principesche o cortigiane in cui un uditorio educato,’litterato’, poteva apprezzarne tutte le sottigliezze.
La sua opera è tramandata pressoché solo dal manoscritto I-MOe α.M.5.24 (ModA) conservato alla Biblioteca Estense di Modena, probabilmente compilato nei primi due decenni del XV secolo. Ciò che sappiamo della vita di Matteo tratteggia la figura di un maestro stimato da personaggi tra i più influenti della politica, della chiesa e della cultura del tempo. Di lui è fortunatamente rimasto un corpus di brani sacri e profani consistente (una quarantina di lavori) che permette di identificare “maniere” personali, e delineare uno stile molto originale e straordinariamente ricercato e alto. Tra le caratteristiche più importanti stanno il personalissimo uso ricorrente delle “appoggiature”, il cromatismo utilizzato con grande consapevolezza retorica, le dissonanze retoricamente orientate (contrariamente ad alcuni suoi contemporanei), le lunghe linee melodiche del cantus e del contratenor ricche di salti aspri (utilizza spesso la quarta diminuita), le diminuzioni molto rapide e improvvise (in particolare Gloria ModA 1v-2), l’imitazione e il canone (Andray Soulet e Gloria ModA 10v-11) che porta in rubrica”fuga”, poichè i due cantus sono in canone), l’utilizzo della sincope sovrapposta a un tessuto ritmico già complesso nelle altre voci, il testo posto in musica sempre pensando alla massima comprensibilità (nella sua musica sacra non esistono brani con testo in tutte le voci) e alla potenza retorica (i due Credo sono autentici manuali in questo senso), l’estensione (ambitus) spesso molto ampia dei suoi cantus, l’isoritmia nei due mottetti rimasti (Laurea Martirii si basa su un tenor ambrosiano) e anche nei Gloria ModA 49v-50 e ModA 50v-51.
L’arte di Matteo si colloca alla fine dell’Ars Nova italiana, quando la polifonia trecentesca arriva a una fase di incandescenza, di ebbrezza per gli incredibili conseguimenti notazionali, che si accompagnano a una perizia estrema nell’arte del contrappunto e a una padronanza dell’intenzione retorica che ancora oggi si è soliti concedere solo ad epoche assai posteriori. Fa parte di quel ristretto novero di maestri che raffinano l’arte musicale conducendola a vette da cui è difficile immaginare di poter muovere un solo passo ulteriore, a causa dell’estrema arditezza cromatica, ritmica, melodica. E infatti, poco dopo le ultime composizioni di Matteo, la polifonia italiana torna a disertare le pergamene grazie alle quali solo possiamo conoscere la musica di quel periodo artisticamente tanto intenso e prolifico per tornare nel silenzio da cui era sorta un secolo prima.